Domus Aurea

  • tipologia:
    Domus
  • quota:
    37m
  • anno:
    60
  • epoca:
    Imperiale


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Domus Aurea

«Bene! Finalmente posso cominciare a vivere come un essere umano! (Nerone, entrando per la prima volta nella sua Domus Aurea) »
(Svetonio, Nerone, 31.2.)

La Domus Aurea ("Casa d'oro" in latino, proprio perché in essa si utilizzò molto di questo prezioso metallo) era la villa urbana costruita dall'imperatore romano Nerone dopo il grande incendio che devastò Roma nel 64 d.C. La distruzione di buona parte del centro urbano permise al princeps di espropriare un'area complessiva di circa 80 ettari e costruirvi un palazzo che si estendeva dal Palatino all'Esquilino.

La villa, probabilmente mai portata a termine, fu distrutta dopo la morte di Nerone a seguito della restituzione del terreno su cui sorgeva al popolo romano. La parte superstite della Domus Aurea, occultata dalle successive terme di Traiano, come tutto il centro storico di Roma, le zone extraterritoriali della Santa Sede in Italia e la basilica di San Paolo fuori le mura, è stata inserita nella lista dei Patrimoni dell'umanità dall'UNESCO nel 1980.

Il Carandini aggiunge che si trattava non di una sola grande residenza, ma di un insieme di edifici e spazi verdi, che in seguito ispirarono la grande villa Adriana alla periferia di Tivoli.

L'incendio del 18 luglio del 64 d.C., che divampò per sei giorni e sette notti distrusse gran parte del centro di Roma, compresa la Domus Transitoria sul Palatino Delle quattordici regioni (quartieri) che componevano la città, tre (la III, Iside e Serapis, attuale Colle Oppio, la XI, Circo Massimo, e la X, Palatino) furono totalmente distrutte, mentre in altre sette rimanevano solo pochi ruderi rovinati dal fuoco.

Nerone, che sembra avesse assistito alla devastazione da una torre dei Giardini di Mecenate, vale a dire all'estremità orientale della Domus Transitoria, decise di costruire una nuova reggia degna della sua grandezza. La residenza dell'imperatore giunse a comprendere parte del Palatino, la valle del futuro anfiteatro Flavio, fino alle pendici dell'Esquilino, per un'estensione di circa 219 ettari (23 riguardanti il Palatino, 149 l'Esquilino e 47 tra la via Sacra, la valle del Colosseo e parte del Celio) secondo il calcolo del Carandini. Di tutta questa immensa tenuta imperiale, che aveva l'aspetto di una villa marittima, resta oggi solo un settore sul Colle Oppio (lungo circa 300 metri e largo 190). Si tratta di quel padiglione inserito nelle fondamenta delle successive Terme di Traiano.

Numerosi autori moderni concordano nel fatto che, in seguito al terribile incendio del 64, gran parte della Domus Transitoria venne sostituita da una più vasta, la Domus Aurea.

« Si fece costruire una casa che si estendeva dal Palatino all'Esquilino che chiamò dapprima transitoria e poi, quando la fece ricostruire, perché era stata distrutta da un incendio, aurea. »
(Svetonio, Nerone, 31.1.)

La maggior parte della superficie era occupata da giardini, con padiglioni per feste o di soggiorno. Al centro dei giardini, che comprendevano boschi e vigne, nella piccola valle tra i tre colli, esisteva un laghetto, in parte artificiale, sul sito del quale sorse più tardi il Colosseo. La vera residenza di Nerone rimase comunque quella dei palazzi imperiali del Palatino, mentre l'edificio sull'Oppio fu adibito a dimora quando prediligeva rimanere negli horti, e gli edifici con vestibulum e stagnum erano utilizzati per le feste, dove riceveva il popolo di Roma.

Nerone s'interessò in ogni dettaglio del progetto, secondo gli Annali di Tacito, e supervisionava direttamente gli architetti Celere e Severo. La domus Aurea fu detestata dalla popolazione, poiché era stata costruita grazie alle spogliazioni dei cittadini più abbienti di Roma e dell'intero impero, depredando i templi di Roma, oltre a quelli di Asia e Grecia delle loro numerose statue.

Sappiamo, infine, da Tacito che, nel 65 d.C., Gaio Calpurnio Pisone aveva ordito la sua congiura per l'assassinio del princeps, proprio in «quel palazzo odiato, costruito con i frutti delle spoliazioni dei cittadini». Alla congiura presero parte il prefetto del pretorio, Lucio Fenio Rufo, e lo stesso Seneca, il quale fu costretto a togliersi la vita, dopo aver donato all'imperatore le sue proprietà per contribuire alle spese della domus Aurea.

Nel maggio del 66, al termine delle vitoriose campagne armeno-partiche di Corbulone, il re Tiridate I, venne invitato a Roma e qui si recò accompagnato dalla moglie, dai figli suoi e da quelli del re dei Parti (Vologese I), della Media Atropatene (Pacoro II) e dell'Adiabene (Menecrate). Nella capitale dell'impero romano, Nerone lo proclamò re d'Armenia, ponendogli sul capo il diadema, al termine di una processione che sembrava un trionfo. Roma era stata decorata con bandiere, fiaccole, ghirlande e fiori, con una gran folla ovunque per vedere il nuovo re.

« Era soprattutto il Foro romano ad essere affollato. Il centro della piazza era occupato dalla popolazione divisa in base al rango, in abiti bianchi e con la corona d'alloro, mentre intorno era occupato dai soldati, che risplendevano per le loro armature e le insegne abbagliavano la vista. »
(Cassio Dione, LXIII, 4.2.)
Si ebbe poi una celebrazione nel teatro di Pompeo, tutto ricoperto d'oro:

« [...] Non solo il palcoscenico ma anche l'area interna al teatro fu coperta d'oro, come pure furono ricoperte d'oro tutte le strutture mobili che vi venivano introdotte, tanto che quel giorno lo chiamarono "dorato". I tendoni [del velario], stesi per proteggere dal sole erano di porpora e nel mezzo era ricamata l'immagine di Nerone che conduceva un cocchio e tutt'intorno a lui, delle stelle d'oro che risplendevano. »
(Cassio Dione, LXIII, 6.1-2.)
Al termine il re armeno venne invitato nella domus Aurea ad uno spettacolare banchetto, molto probabilmente, come sostiene il Carandini, intorno allo stagno di Nerone, affollato di imbarcazioni, come in precedenza era già avvenuto per altre feste organizzate dal prefetto del pretorio, Tigellino. Svetonio infine racconta che Nerone erogò in favore di Tiridate ottocentomila sesterzi al giorno e quando partì gli regalò oltre cento milioni di sesterzi. L'estate successiva partì per la Grecia, dove saccheggiò ben cinquecento statue a Delfi per ornare la domus Aurea.

Dopo la morte di Nerone
Modellino ricostruttivo delle terme di Traiano (Gismondi), al di sotto delle quali venne interrata la domus Aurea
Dopo la morte di Nerone, il terreno della Domus Aurea venne «restituito al popolo romano» dagli imperatori successivi, se pur non immediatamente, a causa dell'impopolarità e dell'ideologia che l'avevano ispirata. Infatti, Svetonio riferisce che solo Otone proseguì il completamento della Domus Aurea, sostenendo ingenti spese pari a 50 milioni di sesterzi. Vitellio la criticò definendola brutta e spartana, sebbene poi vi andasse ad abitarla, solo dopo essersi ammalato.

Già a partire da Vespasiano si avviò il processo di distruzione della Domus. In circa un decennio la dimora neroniana venne spogliata dei suoi rivestimenti preziosi: Vespasiano utilizzò lo spazio in cui era stato scavato il lago artificiale, drenando le acque e prosciugandolo, oltre a distruggere gli edifici che collegavano il vestibulum con lo stagnum, rasandoli e riempiendoli di macerie per innalzare il terreno per costruire l'Anfiteatro Flavio. Distrusse, inoltre, il Ninfeo sul fianco del Celio e completò il tempio dedicato da Agrippina minore al Divo Claudio. Sempre Vespasiano trasformò il basamento della Domus Tiberiana per far spazio a un edificio termale, mentre il peristilio centrale fu trasformato in un'aula absidata, posta tra due portici laterali.

I cantieri per le terme di Tito erano già stati avviati nel 79, mentre il secondo figlio, Domiziano, fece costruire un nuovo palazzo sul Palatino, inaugurato nel 92, che cancellò gli edifici neroniani e ne inglobò le fondazioni.

Bruciò quasi interamente nell'incendio del 104. E come suggerisce il Carandini: «Questa Versailles dentro Roma era durata non oltre 40 anni». Le terme di Traiano, costruite in seguito all'incendio del 104 (ed inaugurate nel 109), ed il Tempio di Venere e Roma (inaugurato nel 135), furono elevate proprio sul terreno occupato dalla domus Aurea. La prima delle due opere sorse sulle rovine della parte residenziale del colle Oppio, la seconda sul Vestibulum della villa, che forse ne condizionò anche la forma In quarant'anni, la Domus Aurea fu completamente sepolta sotto nuove costruzioni, ma paradossalmente questo fece in modo che i "grotteschi" dipinti potessero sopravvivere; la sabbia funzionò come le ceneri vulcaniche di Pompei, proteggendoli dal loro eterno nemico, l'umidità. L'architetto di Traiano, Apollodoro di Damasco, utilizzò l'edificio neroniano, colmato di terra, a sostegno delle Terme, per allargarne la platea.

Epoca moderna e contemporanea[
Le grottesche della Domus Aurea.
Quando un giovane romano cadde accidentalmente in una fessura sul versante del colle Oppio alla fine del XV secolo, si ritrovò in una strana grotta, piena di figure dipinte. Ben presto i giovani artisti romani presero a farsi calare su assi appese a corde per poter vedere loro stessi. Gli affreschi scoperti allora sono ormai sbiaditi in pallide macchie grigie sul gesso, ma l'effetto di queste decorazioni grottesche, per l'appunto, furono elettrizzanti per l'intero Rinascimento. Quando il Pinturicchio, Raffaello e Michelangelo s'infilarono sotto terra e furono fatti scendere lungo dei pali per poter studiare queste immagini, ebbero una rivelazione di quel che era il vero mondo antico. Essi, ed altri artisti che, come Marco Palmezzano, lavoravano a Roma in quegli anni, si diedero a diffondere anche nel resto d'Italia tali "grottesche".

Accanto alle firme di illustri e successivi turisti incise sugli affreschi, quali quelle di Giacomo Casanova e del Marchese de Sade, distanti di pochi centimetri l'una dall'altra, si possono leggere anche le firme di Domenico Ghirlandaio, Martin van Heemskerck, e Filippino Lippi. L'effetto sugli artisti rinascimentali fu istantaneo e profondo: lo si può notare in maniera ovvia nella decorazione di Raffaello per le logge nel Vaticano.

Nel Rinascimento la domus dell'Oppio fu erroneamente chiamata palazzo di Tito a causa dell'erronea identificazione delle terme di Traiano con le terme di Tito.

La scoperta, però, provocò anche l'ingresso dell'umidità nelle sale, e questo avviò il processo di lento, inevitabile decadimento. Alla forte pioggia fu attribuito anche il crollo d'una parte del soffitto[41]. La riapertura di una parte del complesso, chiuso subito dopo il crollo, era prevista per il gennaio 2007, ma il monumento continua a soffrire di una situazione a rischio, dovuta al traffico, alle radici degli alberi del giardino e ad altri problemi riguardanti l'area, che impediscono di proseguire lo scavo e l'esplorazione.

Il 30 marzo 2010 crolla la volta di ingresso ad una galleria che portava alla Terme Traianee, costruite sopra la struttura neroniana dall'imperatore Traiano nell'anno 104.

L'imperatore Nerone a Baia, dove sembra abbia progettato la costruzione della Domus Aurea sull'esempio di alcune ville romane di quel tratto di costa (olio su tela di Jan Styka).
Il progetto della Domus Aurea sembra si sia ispirato alla villa marittima campana, le cui principali caratteristiche erano costituite da una distribuzione sparsa degli edifici, inseriti in una paesaggio con viste panoramiche sul mare tramite terrazze, giardini e portici. L'ispirazione sembra fosse dovuta in particolare all'ambiente di Baia, la più rinomata località residenziale del mondo romano, nel quale erano presenti numerose e lussuose ville, impianti termali e luoghi di piacere. Il Carandini aggiunge che la domus di Nerone era una villa che si affacciava su di un "mare" artificiale, lo stagnum, luogo di perdizione della nobilitas, dove si svolgevano i festini su imbarcazioni di piacere (cumbae). Del resto confrontando una villa di Baia, si nota la notevole somiglia con il padiglione sull'Oppio, compreso lo xystus della parte meridionale.

La Domus Aurea, realizzata dagli architetti Severo e Celere sotto la diretta supervisione di Nerone («i quali ebbero l'ingegno e l'ardire di voler creare con l'arte, ciò che la natura aveva negato»), era innanzitutto un intervento sul paesaggio, plasmato con prati, campi, vigneti, boschi, bacini d'acqua e con la realizzazione di domus, padiglioni e ninfei.

« Nerone utilizzò le rovine della patria per costruirsi un palazzo, nel quale dunque rappresentassero un prodigio non tanto le pietre preziose e l'oro esposto, che costituivano solitamente il comune sfoggio, quanto, da una parte il paesaggio agreste, gli stagni e distese solitarie di boschi, e dall'altra spazi aperti e panorami. »
(Tacito, Annali, XV, 42.1.)
« Inoltre, all'interno c'erano campi, vigne, pascoli, boschi con svariati animali, selvatici e domestici, d'ogni genere. »
(Svetonio, Nerone, 31.1.)
La villa comprendeva le alture del Palatino, della Velia, dell'Oppio, parte dell'Esquilino (fino agli Horti Maecenatis, che, pur non facenti parte del corpo principale della domus, ne costituivano un annesso, in quanto lasciati in eredità ad Augusto alla morte di Mecenate), la parte nordoccidentale del Celio (corrispondente al podio del tempio del Divo Claudio, riconvertito in ninfeo) e lo specchio d'acqua compreso tra queste alture, dove poi sarà edificato l'anfiteatro Flavio. Il fulcro della villa era proprio costituito da questo stagno.

L'accesso principale alla villa avveniva dal Foro romano, in prossimità dell'Atrium Vestae; l'accesso avveniva tramite un enorme Vestibulum, dominato dalla statua colossale raffigurante Nerone posta sulla sommità della Velia, il Colosso. Svetonio aggiunge nella descrizione della villa che:

« [...] ogni cosa era rivestita d'oro e ornata di gemme e madreperla. Il soffitto delle sale da pranzo era di lastre d'avorio mobili e forate, perché vi si potessero far piovere dall'alto fiori ed essenze. La sala principale era circolare e ruotava su se stessa tutto il giorno e la notte, senza mai fermarsi, come la terra. Nelle sale da bagno scorrevano acque marine e albule. »
(Svetonio, Nerone, 31.2.)
E Seneca aggiunge che la nuova reggia

« [...] risplende per lo scintillio dell'oro. »
(Seneca, Epistole morali, 115.12.)
Sebbene gli edifici sul Palatino, tra cui la Domus Tiberiana, fossero considerati parte della Domus, essi erano probabilmente utilizzati come uffici e foresterie per gli ospiti.

Plinio afferma che, il teatro di Pompeo costituiva «piccola cosa rispetto alla Domus Aurea che abbracciava tutta Roma!» e che «in due occasioni abbiamo potuto vedere le case dei principi, Gaio e Nerone, avere un'estensione tale da circondare l'intera città [di Roma]» Marziale si lamentava del fatto che una sola casa (Domus) occupasse l'intera città, mentre circolavano i versi satirici riportati da Svetonio che recitavano:

« Roma diventerà sua casa: a Veio ritiratevi, Quiriti, purché la sua casa non occupi anche Veio.» »
(Svetonio, Nerone, 39.2.)

Bibliografia
Wikipedia - it.wikipedia.org


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Indirizzo:
Viale Serapide, 00184 Roma RM, Italia

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